Villa Durazzo Pallavicini

Categoria (tipo): Villa

Denominazione: Villa Pallavicini

Denominazione originale: Villa Grimaldi poi Durazzo Pallavicini

Ubicazione

Circoscrizione: Ponente

Indirizzo: Via Pallavicini 11

Telefono: 0106981048/6984045

Fax: 0106974040

Indirizzo web: www.museoarcheologicogenova.it

Email: archligure@comune.genova.it

 

[modifica]

Notizie storiche

Secolo: La villa nel suo attuale aspetto risale al XIX secolo, anche se nel luogo dove sorge è testimoniata la presenza di un palazzo di villeggiatura di Gio Battista Grimaldi, doge della Repubblica genovese dal 1752 al 1754. Del resto anche il parco circostante venne realizzato da Clelia Durazzo tra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo.

Data (Inaugurazione): Settembre del 1846.

Attività (uso attuale): Sede del Museo Archeologico comunale. Al pubblico è consentito anche l’accesso al parco.

Uso storico: Residenza di villeggiatura del marchese Ignazio Alessandro Pallavicini, nipote di Clelia Durazzo. Dal Pallavicini la villa passò al genero Marcello Durazzo Pallavicini e da questi al figlio Giacomo Filippo. Morto quest’ultimo nel 1921, passò in eredità alla moglie Matilde Giustiniani che la donò al Comune di Genova nel 1928 insieme al parco.

[modifica]

Descrizione

La villa presenta un volume rigido e squadrato con il fronte principale rivolto a levante. Sorge alla sommità della collina di San Martino e si raccorda con i giardini e gli orti sottostanti attraverso un complesso di terrazze e scalinate che infondono al complesso una valenza scenografica. I lavori di ristrutturazione della residenza di villeggiatura in Pegli, comprendenti una rilettura stilistica del palazzo padronale, la costruzione della nuova strada d'accesso e la realizzazione del parco, iniziarono nel 1840. L'opera di progettazione e direzione dei lavori del parco fu affidata al professore Michele Canzio, che si occupò anche della ristrutturazione in forme neoclassiche del palazzo, mentre l'architetto Angelo Scaniglia ideò e diresse i lavori per la costruzione del viale rialzato che collegava, e collega tutt'oggi, la villa con il centro di Pegli. Prima della ristrutturazione il palazzo era collegato a Pegli da una strada assai bassa ed scomoda, è per questo che una delle prime opere previste dal marchese fu la costruzione di una nuova via di collegamento. La parte in struttura è stata progettata come un vero e proprio viadotto sul quale è impostato il selciato del viale. Nel 1857, con l'inserimento della ferrovia, la prima parte del viale diventò strada pubblica; restò soltanto la parte in struttura a cui venne realizzato l'attuale ingresso con le due palazzine gemelle.

Purtroppo oggi questa costruzione dalle dimensioni gigantesche, che doveva imporsi sul paesaggio della piana come un segno forte, scompare quasi totalmente, annegata tra i palazzi che hanno preso il posto di magnifici aranceti e orti. Comunque il palazzo deve la sua attuale facies all’intervento ottocentesco, come rivelano le delicate ornamentazioni dipinte o a stucco delle pareti e dei soffitti, che richiamano il repertorio neoclassico, o la decorazione a tempera e stucco della "Sala verde", che riprende motivi tipici del gusto settecentesco. Alla fine dell’Ottocento risale invece l’affresco storico del salone del piano nobile. Alcuni dipinti murali furono realizzati da Michele Canzio e Giuseppe Isola, in parte perduti dopo il crollo del soffitto del 1869. Ignazio Alessandro Pallavicini fece anche rimodellare il loggiato affiancato ad est al corpo della villa con l’aggiunta del terrazzo che mette ora in collegamento il palazzo con il parco.

 

  • IL PARCO

Architetto: Michele Canzio (Genova 1788-1868).

Dal piazzale del palazzo ha inizio un viale, fiancheggiato da lecci e allori, che introduce al parco. Il visitatore è invitato a seguire l’itinerario ideato dal Canzio: si incontra subito un padiglione neoclassico, il coffee house, il casino da caffè decorato con quattro statue (Leda, Pomona, Ebe, Flora), opera dello scultore Carlo Rubatta. A conclusione del viale un maestoso arco marmoreo rivela sul retro la veste di un casolare rustico: dall’ambiente cittadino stiamo passando alla quiete del bosco, come ci avverte l’iscrizione posta sulla parte superiore dell’arco. Il percorso diventa tortuoso nel fitto della vegetazione. Dopo il bosco delle camelie caratterizzato da un’atmosfera languida e decadente si risale lo scosceso versante orientale della collina, coperto di pini marittimi, e si giunge al piazzale dei giochi meccanici, un omaggio alla cultura del tempo. Si raggiunge quindi la sommità della pineta dove troviamo le tombe degli Eroi, una sorta di cimitero nascostO nella parte più remota del bosco, con accanto il castello medievale con tanto di fossato, ponte levatoio e torre, in ossequio al revival neogotico tipicamente ottocentesco. Inaspettatamente davanti al visitatore si apre una grotta: attraverso un percorso tortuoso e buio si giunge ad una sala da dove appare il lago, al centro del quale sorge un tempio dedicato a Diana guardato da quattro centauri tritoni. L’isola fiorita, il doppio ponte in ferro con la pagoda cinese, il chiostro turco e la complessiva sistemazione del verde formano un quadro d’insieme di grande armonia. Si arriva quindi al giardino di Flora: sul fondo sorge un tempietto dedicato alla dea, una costruzione a pianta ottagonale ornata di stucchi e arricchita all’interno di specchi e vetri colorati. Sul retro della costruzione troviamo un giardino con al centro una piccola statua di silfide. Di qui il percorso proseguiva presentando altri quadri paesistici con continui giochi d’acqua che sorprendevano ad ogni passo il visitatore.

Complessivamente il parco della villa è concepito come un giardino "di piacere" tipicamente romantico, come luogo di svago e di ricreazione per il visitatore che, attraverso le varie scene, ora sublimi ora pittoresche, era portato a vivere emozioni diverse e contrastanti, cui si univano significati simbolici e allegorici. A partire dal 1841, contemporaneamente alla sistemazione morfologica del sito e alla costruzione dei primi edifici da giardino, si procedeva anche all'impianto della vegetazione. Il Pallavicini aveva ben chiaro che, per realizzare un parco, è necessario provvedere fin dall'inizio all'inserimento della vegetazione, e, contrariamente a quanto fino ad oggi si era pensato, non saccheggiò l'orto botanico della zia Clelia Durazzo, ma provvide direttamente all'acquisto delle piante esotiche e indigene necessarie a realizzare il disegno prefissato dal Canzio. Dal punto di vista botanico il parco risulta diviso in tre zone ben distinte: la zona alta, la zona centrale e quella bassa. Ognuna di queste tre zone nasce da un forte rimaneggiamento della copertura vegetale preesistente: nella parte alta furono impiantate specie della macchia mediterranea, quella centrale fu connotata da un impianto vegetale eterogeneo (qui l'intervento più significativo è il Viale delle Camelie), e nella zona bassa vi erano le piante rare ed esotiche. In base all'osservazione diretta del sito si deduce che alcune parti del parco sono caratterizzate dalla presenza di scenografie stilisticamente simili e narrativamente consequenziali, come se il messaggio compositivo dell'una trovasse continuazione o conclusione nell'altra. Si nota proprio una possibile interpretazione in chiave scenografico-teatrale. Sembra possibile ipotizzare che il Canzio, scenografo, uomo di teatro, spirito eclettico e creativo, concepì il parco come una rappresentazione teatrale, come un insieme articolato di scenografie tridimensionali che si susseguono, articolate in una struttura teatrale canonica composta da prologo, parodo, episodi ed esodo. Ed è proprio l'esistenza di questo filo conduttore a carattere teatrale e tipicamente romantico che rende l'opera del Canzio unica nel suo genere. Oltre a questa prima interpretazione ne è stata proposta un'altra in chiave massonica-esoterica: il messaggio inviato potrebbe essere infatti quello massonico di ricerca della verità attraverso la conoscenza. Il luogo "parco" è il più adatto per compiere tale percorso, perché il contatto con la natura accompagna l'uomo a riflettere sulle sue origini e sulla grandiosità della creazione divina.

Va infine sottolineato che il parco di villa Pallavicini con le sue numerose costruzioni non è solo il capolavoro di Canzio scenografo, ma può considerarsi anche il frutto maturo di Canzio architetto, il luogo, cioè, in cui la sua progettazione passa dalla bidimensionalità delle scenografie teatrali alla tridimensionalità di numerosi edifici reali, anche se miniaturizzati. E, anche in questo ambito, la sua ispirazione si conferma tutt’altro che unitaria, anzi connotata da un estremo eclettismo, ancor più suggestivo che decorativo, che si sposa perfettamente con gli innumerevoli significati simbolici e esoterici sottesi al percorso guidato. A un Medioevo scenografico e romantico si rifanno la Cappelletta di Maria, il Castello, il Mausoleo del Capitano, una delle architetture neogotiche più significative a Genova, e la Tribuna. Lo stile neoclassico domina la scena del viale tra la palazzina della Coffee House e l’Arco di Trionfo, dove tutto lo spazio ha un’impostazione geometrica, misurata e scandita da proporzioni precise. La Coffee House è un’elegante palazzina a pianta rettangolare a due piani che, per il visitatore, rappresenta il primo ostacolo da oltrepassare per avventurarsi nel viaggio proposto dal Canzio. L’Arco di Trionfo, decorato da statue in marmo bianco di G.B. Cevasco, rappresenta un messaggio di quiete e di speranza e conferma i suoi significati esoterici trasformandosi in cascinale rustico sul retro: un vero edificio di "passaggio", un limite tra due realtà diverse. Ma sono neoclassici altri due importanti edifici del parco: il Casino di Flora e il Tempio di Diana, fulcro intorno al quale gravita il Lago Grande e l’insieme di tutto il giardino, simbolo del rapporto tra passato e presente, dell’armonia tra uomo e natura. La Pagoda Cinese, il Tempio Turco e l’Obelisco si rifanno, invece, a quella tradizione ormai collaudata che dal pittoresco settecentesco si trasforma nell’esotico romantico, con un’interessante commistione di materiali diversi (legno dipinto, rame, marmo e la modernissima ghisa). E proprio questa compenetrazione di stili e di aspetti (quello scenografico, quello filosofico e quello prettamente paesaggistico) fa si che Canzio estenda il confine visivo dal parco al panorama esterno, facendolo divenire parte stessa della sua progettazione.

 

[modifica]

Note

Per quanto riguarda il patrimonio e il percorso del Museo Archeologico si rimanda a:

"Il Museo di Archeologia Ligure", Genova; 1992.

"Piccola Guida del Museo di Archeologia Ligure", Genova, Comune di Genova, 1996.

[modifica]

Bibliografia

F. Alizeri, "Guida artistica per la città di Genova", vol. I, Genova, 1846

O. Grosso, "I giardini di Genova", in “Giugno Genovese”, Genova, 1934

AA.VV., Catalogo delle ville genovesi, "Italia Nostra", Genova, 1967

P. Cevini, "Pegli: Villa Pallavicini", Genova, Sagep, 1978

A. Maniglio Calcagno, "Giardini parchi e paesaggio nella Genova dell’800", Genova, Sagep, 1986

F. Calvi, S. Ghigino, "Villa Pallavicini a Pegli. L’opera romantica di Michele Canzio", Genova, Sagep, 1998

[modifica]

Immagini

Immagine:Immagine.jpg


Immagine:IMG 0168.JPG


Immagine:IMG 0145.JPG

Immagine:Immaginekkk.jpg Immagine:Immagineb.jpg

Ultimo aggiornamento 26 Ottobre 2022